Droga, Yoga e Aids.
Ciao a tutti! Mi metto a scrivere questo documento per condividere con voi una trentina d’anni di esperienze dirette con le droghe, lo yoga, l’Aids e le sue terapie.
Vi sembrerà forse strano che simili argomenti si trovino affiancati, ma viviamo in un periodo di grandi cambiamenti, e dobbiamo imparare a non dare niente per scontato.
Abitavo a Milano con mia madre e mio fratello fin circa ai 16-17 anni quando, per una serie di accadimenti, fui obbligato a trasferirmi in una cittadina nella Svizzera Italiana, dove soggiornai per pochi mesi con mio padre.
Nella mia vita ho passato pochissimo tempo con mio fratello, più grande di me di sei anni, che prima di trasferirmi da Milano mi ha fatto conoscere tre cose che sono divenute importanti nella mia vita. La fantascienza, l’anarchia e Sri Aurobindo.
La fantascienza mi è servita per rifugiarmi in quei mondi ideali e fantastici che non trovavo nella mia vita e mi ha aiutato ad acquisire una certa elasticità mentale che poi in seguito mi ha aiutato a penetrare nei mondi dello yoga, l’anarchia mi ha fatto capire che quel mondo ideale andava creato, che c’erano altre persone al mondo che ci credevano, che lottavano e addirittura ci lasciavano la vita lottando per realizzarlo. Sri Aurobindo era un grande yoghi che ha lasciato il corpo a novant’anni, nel 1950, e che ha aperto una nuova strada per rendere possibile la trasformazione del mondo. Egli, per la prima volta ha fatto scendere una Luce che cambierà radicalmente la Coscienza dell’uomo e del mondo intero.
“L’avventura della coscienza” di Satprem è il libro che ricevetti in regalo da mio fratello. È un libro che descrive la vita di Sri Aurobindo con tutte le tappe e le esperienze del suo percorso. Ricordo che mi disse: “Tieni, parla di “vibrazioni”, le stesse cose di cui parli tu”. Io a quei tempi vivevo le prime esperienze con la canapa e l’Lsd, ero assolutamente ateo e anti religioso, come del resto lo era anche Sri Aurobindo all’inizio della sua azione politica.
Vi racconto tutto questo perché svariati anni dopo mi sono reso conto che quel libro mi aveva messo in contatto non solo con le idee formidabili di quel grande yoghi, ma che soprattutto mi aveva collegato in qualche modo con la sua vibrazione spirituale.
E così per molti anni ho vissuto con una guida e una protezione che mi hanno accompagnato attraverso tutte le vicissitudini e avventure di una vita assai “scapestrata”.
È anche vero che la visione e le idee di Sri Aurobindo mi hanno colpito profondamente già da subito; ancora oggi non ho trovato nessuno che abbia una capacità di analisi e di visione così profonda e integrale. La capacità di abbracciare verità che sembrano opposte e inconciliabili, dimostrando come in realtà si tratti della stessa cosa vista da angolature diverse. Poiché la Coscienza di cui ci parla Sri Aurobindo è innanzitutto una coscienza che ci permetterà di vivere in modo nuovo, e senza ritirarci dal mondo come predicano tante vie “mistiche” che cercano di risolvere il problema della vita evadendo in qualche “cielo” personale. Poiché la possibilità di cambiare questo mondo è reale, e si comincia cambiando noi stessi.
Mi è venuta l’idea di scrivere questo libro quando ho visto la mancanza d’informazioni un po’ strutturate sulle terapie alternative. Poiché sono poco più di vent’anni che mi curo con le terapie naturali e sono tuttora vivo nonostante le assicurazioni dei medici che affermano la necessità di medicine così dette “classiche” per combattere il virus (vedi tri-terapia),
ciò vuol dire che si può sperimentare una metodologia di cura efficace e meno violenta.
Se vi ho parlato di Sri Aurobindo, è perché noi non siamo solo il nostro corpo e la nostra mente, ma siamo anche spirito. E lo spirito è una vera forza che può aiutarci a cambiare la nostra vita, è qualcosa che si trova dentro di noi, e perciò non abbiamo bisogno di affidarci a preti, guru o mischiarci a qualche setta per cambiare la nostra vita. Ma andiamo con ordine.
Dopo tre mesi che abitavo con mio padre, mi diede un ultimatum: siccome i miei amici di Milano continuavano a venirmi a trovare anche in Svizzera, mi disse che avrei potuto restare a casa sua, alloggiato vestito e nutrito, a condizione che non incontrassi più quelle persone. Già a quei tempi avevo deciso che le cose più importanti nella vita erano l’amore e l’amicizia. E la nostra era già allora un’amicizia bellissima e fraterna; ogni volta che ci si vedeva erano grandi abbracci. Loro, più grandi di me, erano anche stati in India e avevano assorbito in parte quella grande e antica coscienza che vede il Divino in ogni cosa e in ogni persona, che considera tutto facente parte della stessa cosa. Era poi la stessa coscienza hippie che dilagava a quei tempi.
Naturalmente abbandonai senza rimpianti la casa di mio padre, trovai una stanza e un lavoro come magazziniere in un negozio di ferramenta, e cominciai la mia vita “indipendente”. Dopo poco tempo entrai nel gruppo dei “figli dei fiori” locali, e vi trovai lo stesso ambiente e il feeling che animava i miei amici milanesi. A quei tempi vi erano due ritrovi frequentati da queste persone. Uno, in centro città, era famoso per essere frequentato da artisti e da politici, soprattutto di sinistra, per cui noi ci si trovava come a casa. L’altro, un po’ più in periferia, era gestito da un anarchico e da sua moglie, e servì a farmi trovare la sensazione di “casa” in quella cittadina. Infatti, con un gruppo di amici si arrivava lì al calar della sera e rimasi quasi commosso quando vidi che la moglie del gerente veniva al nostro tavolo e ci abbracciava tutti uno per uno, a ognuno chiedendo come andava il lavoro o la scuola, e di tutti conosceva la storia. Era un posto bellissimo con un’atmosfera molto particolare, tutto in mattoni, con le arcate, vecchi tavoli di legno, un po’ buio ma non troppo, con un pianoforte (ma anche un juke-box!). Ai muri erano appese pentole in rame e le foto dei clienti famosi che erano passati di lì, di cui il boss, anche se anarchico, andava un po’ fiero. Ricordo che tra attori e altri personaggi figurava pure lo Scià di Persia… in effetti, il bar si trovava su per una stradina discreta, ma nel quartiere degli hotel a cinque stelle.
Quel bar divenne il nostro rifugio per molti anni. A parte la domenica, eravamo lì praticamente tutte le sere, e il gerente ci lasciava fumare liberamente le “canne” di hascisc e di marijuana. Anzi, se arrivavano i poliziotti per un controllo non li lasciava entrare e gli diceva: “lasii in pas i mè fieu” (lasciate in pace i miei figlioli).
In questo tipo di ambiente cominciai a mettere in pratica i consigli di Sri Aurobindo. In particolare sosteneva che le esperienze della vita sono condizionate dall’attitudine che abbiamo. A quei tempi giravano anche sostanze piuttosto “forti” come per esempio l’Lsd. Alcuni facevano dei ”bad trip” dei brutti viaggi, e si capiva che non era piacevole. Io ne presi parecchi di trip ma ogni volta, al momento di ingoiarli, mi rivolgevo a quella Realtà più grande di cui parlava Sri Aurobindo, e non avevo mai le allucinazioni ma avevo delle profonde rivelazioni sulla natura dell’uomo, del mondo e della realtà.
Dopo un paio d’anni di quella vita avevo già cambiato di lavoro alcune volte ed ero stato assunto come apprendista in un laboratorio chimico di analisi, quando fui iniziato all’uso della morfina. Ciò coincise con la fine di una bella storia d’amore (platonico) di tre mesi con un bellissimo ragazzo. Mi ricordo che fu quasi uno shock per me rendermi dell’attrazione che avevo per un ragazzo, ma ho avuto vicino delle persone intelligenti e sensibili che mi hanno aperto gli occhi sulla naturalezza di certi sentimenti.
L’infatuazione della morfina durò tre mesi, e mi ricordo il giorno che decisi che ne avevo abbastanza e buttai via la siringa in un tombino. Incredibile ma vero, a quei tempi non si parlava ancora di eroina e simili e non ebbi nessuna crisi di astinenza. In seguito ricominciai a usare eroina e morfina, ma in genere solo in inverno; arrivata la primavera era come se sentissi il richiamo della Vita e in un modo o nell’altro riuscivo a disintossicarmi. Vi racconto tutto questo perché queste esperienze mi hanno poi aiutato ad avere la giusta attitudine verso l’Aids e i medici.
Infatti passai attraverso una dozzina di disintossicazioni in altrettanti anni; la prima volta mia madre mi convinse ad andare per un mese in una clinica privata per fare la cura del sonno. Mi toglievano del sangue e me lo re-iniettavano con della stricnina. All’uscita dalla clinica mi diedero una scatola di Toquilone, un potente sonnifero. Quando finii la scatola mi successe un fatto strano; ero al cinema con mia madre quando ebbi una crisi tetanica. È come una crisi epilettica. Fu solo in seguito, quando la stessa cosa successe anche ad altri amici, che mi resi conto che quelle crisi erano dovute all’astinenza dai sonniferi. Incominciai allora a realizzare che i medici sapevano ben poco delle problematiche legate alle tossico dipendenze. Mi avevano tolto una dipendenza per regalarmene un’altra! In seguito feci ancora due disintossicazioni in diverse cliniche, ma ben presto mi resi conto che se da un lato l’uso di farmaci vari per combattere il dolore e i sintomi dell’astinenza mi permettevano di dormire, dall’altro mi toglievano tutta la forza vitale e mi lasciavano come uno straccio. Scoprii in seguito che se restavo nella mia città, la vicinanza degli amici e la facilità di procurarmi altra “sostanza”, rendeva i sintomi del manco da eroina molto più forti. Così in seguito cominciai a spostarmi in città come Zurigo, chiedendo ospitalità a degli amici, e misi a punto un programma tutto mio. Mangiavo solo riso, banane, thè nero e succo di limone per evitare la diarrea, non dormivo per tre giorni, e nel giro di tre giorni ero disintossicato e con un’energia vitale superiore a prima. Infatti, dopo la disintossicazione in genere mi trovavo un lavoro in un ristorante come lavapiatti, con vitto e alloggio, e dopo un mese mi ritrovavo con i soldi per tornarmene a casa.
Quando parecchi anni dopo mi trovai confrontato con il problema dell’Aids, mi resi conto subito che anche stavolta i medici non sapevano veramente cosa fare. Provavano vari medicamenti sulle persone sperando che funzionassero, ma spesso gli effetti secondari delle medicine erano più deleteri della malattia stessa.
Ma torniamo un po’ indietro. Nel 1981 ero arrivato a una fase della mia tossicodipendenza particolarmente grave e consumavo diversi tipi di sostanze contemporaneamente. Ero inoltre mantenuto in “cura” di metadone dal mio medico. Il metadone è un tipo di eroina sintetica e permette al consumatore di non essere obbligato a trovare i soldi per l’eroina rubando o rivendendo la sostanza stessa, e allo stato di avere sotto controllo giornaliero il tossico dipendente. Una sera, preda delle allucinazioni causate dal consumo consecutivo di tre giorni di amfetamina, finii per cercare il suicidio buttandomi sotto una macchina. Mi andò bene e finii all’ospedale per due settimane e fui doppiamente fortunato perché il medico di turno tacque il fatto del tentato suicidio e mi risparmiò così parecchi mesi di soggiorno in ospedale psichiatrico. Le due settimane di degenza furono salutari, e quando uscii era chiaro per me che l’unica soluzione che potevo ancora tentare era un lungo soggiorno in una comunità specializzata. Avevo un’avversione profonda per i camici bianchi di tutti i tipi, in particolar modo psichiatri e affini, ma mi dissi che era pur sempre meglio che rischiare nuovamente di lasciarci le penne!
Provai a contattare le poche strutture esistenti, tutte in Svizzera interna, ma fu impossibile riuscire ad avere un colloquio. Infatti, per recarmi in quei posti avrei avuto bisogno del metadone per il viaggio di due giorni, ma il medico si rifiutava di darmelo. Incominciavo a perdere la speranza quando mia madre mi disse di aver avuto da un’amica l’indirizzo di una comunità in Francia. Telefonai subito, raccontai l’intera situazione, e con mia grande sorpresa mi risposero di prendere l’aereo e di partire subito. Chiesi come la mettevamo con i soldi per la retta e mi risposero di cominciare con il partire, al resto ci avremmo pensato dopo.
E così feci. Sicuramente un potente angelo (Sri Aurobindo) mi ha sempre seguito e aiutato.
Nei peggiori e migliori frangenti della mia vita. Quando arrivai all’Associazione Le Patriarche a Tolosa, in aperta campagna, ricevetti una delle più belle sorprese della mia vita. Mi aspettavo la solita struttura chiusa, con i soliti camici bianchi ad accogliermi, ed invece non c’erano neanche i cancelli, niente assistenti sociali né medici. Vi erano invece centotrenta ex-tossico dipendenti che si occupavano di tutta la gestione del centro. I più “anziani” si occupavano della gestione amministrativa e guidavano i vari gruppi di lavoro, e il tutto era gestito da comitati. Per dieci giorni fui accompagnato notte e giorno da dei ragazzi che si occupavano a turno di me, e la terapia erano lunghe passeggiate di svariati kilometri, lavoro pesante con cumuli di terra o di legna da spostare (lavoro terapeutico), tisane, bagni caldi con le essenze di erbe, massaggi. La disintossicazione dal metadone è peggiore di quella da eroina perché dura dieci giorni. Ma con quel sistema dopo solo tre giorni mi passò del tutto l’angoscia, e dopo dieci giorni potei lasciare la struttura del “sevrage” (disintossicazione) e inserirmi nella vita attiva della comunità dove passai diciotto mesi tra i più belli della mia vita.
Alla fine non pagai neanche un soldo per la lunga permanenza in comunità, ma in cambio lavorai attivamente e senza riserve. Quando ami davvero ciò che fai e quando lavori e vivi in un bell’ambiente puoi attingere a un’altra qualità di energia che non trovi negli ambienti di lavoro puramente speculativo.
Non esiste un modo per sapere quando si è “guariti”. Allora mi ero detto che diventare il responsabile di un centro era già una buona garanzia di riuscita. L’associazione “Le Patriarche” a quei tempi gestiva già una ventina di centri diversi, ognuno con la sua particolare attività; allevamento di bestiame, agricoltura, sport, recuperazione e riparazione di mobili. I centri erano situati in Francia, Belgio e Spagna, e se volevi potevi scegliere di spostarti da un centro a un altro. In pratica l’ideatore e fondatore dell’associazione, Lucien Engelmajer, era un ebreo che era scampato ai campi di concentramento nazisti. Tornato in Francia si era reso conto che il mondo degli affari non faceva più al caso suo e insieme alla moglie, maestra elementare, decisero di ritirarsi in campagna in una grande casa, aprendo le porte a conoscenti e artisti che si sentivano di condividere l’esperienza.
Arrivò poi un tipo intossicato si eroina chiedendo di essere aiutato a smettere. Nessuno aveva esperienza di questi casi ma Lucien disse che nei campi di concentramento non avevano assolutamente niente, e si salvarono grazie all’auto aiuto. Avrebbero fatto così anche questa volta. Con quel primo caso usarono ancora i barbiturici. In seguito arrivarono altri amici del primo tipo e con l’aiuto di altre persone misero poi a punto il “sevrage bloc” che ho già descritto parlando del mio arrivo all’associazione, e che mette l’accento sulle terapie naturali e la presenza continua di qualcuno vicino alla persona che affronta la disintossicazione. In seguito la voce si diffuse, arrivarono altre persone desiderose di abbandonare le sostanze stupefacenti, e bisognò trovare altri luoghi. Fu così che vennero affittati, al prezzo simbolico di un franco, delle proprietà abbandonate che stavano andando in rovina, e rimetterle a posto fu la terapia per i nuovi arrivati!
Quando arrivai c’erano già una ventina di comunità, ed io ne girai quattro o cinque nel periodo che restai alla comunità. Con il tempo salii nella scala delle responsabilità finché divenni il responsabile di una comunità di quaranta persone in Spagna, nei paesi baschi.
A quel punto, dopo diciotto mesi di permanenza, decisi che avevo fatto il massimo e tornai in Svizzera.
Devo dire che anche se da giovane ero ateo, la lettura dei libri di Sri Aurobindo mi convinse dell’esistenza del Divino, che è però tutt’altra cosa del dio delle varie chiese e religioni occidentali. Infatti, quest’ultime cercano di convincere la gente che questo dio è lontano e quasi irraggiungibile, e che è necessario passare per l’intermediario di preti e sacerdoti per sperare di trovarlo. Inoltre sia il credo ebraico che quello cattolico mettono un grande accento sulla sofferenza, come se fosse il necessario pagamento per accedere al regno dei cieli. Con Sri Aurobindo ho imparato che il Divino è la Gioia Suprema e che è già dentro di noi. La Madre Divina è nel nostro cuore, come pure il Divino. E il Suo amore verso di noi è talmente grande che possiamo immaginarlo come più ci piace; maschile, femminile, con un corpo o senza, universale o immanente, e possiamo così cercare di entrare in contatto con lui seguendo la nostra indole, e senza passare attraverso degli intermediari.
Per tutta la vita ho pensato che la cosa più importante fossero l’amicizia e l’amore, e non ho mai smesso di cercare il “grande amore”. Tornato in Svizzera nel 1984, trovai un paio di lavori fino a quando trovai lavoro ad affittare i famosi pedalò ai turisti sul lago. Facevo fino a dodici ore al giorno consecutive, ma mi piaceva essere all’aperto, al sole, vedere un sacco di gente, e in più gli amici potevano venire a trovarmi e fermarsi con me per un po’ di tempo. Ricordo che fu allora che cominciai a rivolgermi seriamente a questo “Divino” di cui tanto parlava Sri Aurobindo chiedendogli di aiutarmi a trovare un compagno, il vero amore. Voglio citarvi una frase di Douce Mère, la compagna di Sri Aurobindo nel suo yoga:
“Non dimenticare mai che non sei solo. Il Divino è con te, per aiutarti e guidarti, è il Compagno che non ti manca mai, l’Amico che con il suo Amore ti consola e ti dà forza; abbi fiducia in Lui e Lui farà tutto per te.”
Nonostante fossero già quasi quindici anni che leggevo i suoi libri, questa fu la prima volta che mi rivolsi a questo misterioso “Divino”. Per un po’ non successe un bel niente, passarono i mesi ed io ogni tanto rinnovavo la mia richiesta. Poi un bel giorno una signora mi chiese se c’era qualcuno per accompagnare il figlio piccolo sul lago; su una panchina lì vicino c’era un mio amico in compagnia di F., un bellissimo ragazzo a cui chiesi di fare un giro in pedalo con il bimbo. Lui accettò, e in seguito passò ancora a trovarmi. Era un giovane gay molto cosciente che sapeva cosa voleva, e nacque il grande amore! Poiché la cosa si rivelava molto seria e si parlava già di vivere assieme dopo solo un mese, gli parlai dei miei burrascosi precedenti, e decisi di fare il test dell’Aids, anche se non avevo mai creduto nella sua utilità. Scoprii quindi di essere sieropositivo e dissi a F. di lasciar stare tutto e di trovarsi qualche bel ragazzotto negativo. Devo dire che a quel tempo avevo una splendida forma fisica di cui andavo fiero. Tra il lavoro con i pedalò e l’abbronzatura, con il cappello bianco da marinaio facevo una bella figura!
E così F non volle assolutamente sentir parlare di separazione e venne ad abitare con me. Buffa cosa la vita. Nello stesso tempo avevo trovato l’amore che cercavo da anni e avevo ricevuto la notizia della sieropositività. Fu una storia bellissima, vivemmo assieme per cinque anni, passando assieme una media di ventitré ore al giorno. Eravamo veramente inseparabili, e scandalizzammo la città perché andavamo sempre in giro abbracciati o mano nella mano. Ci facemmo pure sbattere fuori da alcuni bar e caffè perché ci baciavamo impunemente in pubblico. Che divertimento! Nel “nostro” bar in centro, quando ci dissero di uscire, tutti gli avventori si misero a baciarsi! E non ci disturbarono più.
In quegli anni viaggiammo parecchio per tutto il mondo. Nel corso di quegli anni, in differenti viaggi visitammo Amsterdam, San Francisco, Miami, Bogotà, e approdammo anche in Australia, dove lavorammo in campagna per rimpinguare un po’ i portafogli. Partimmo dal nord del paese, nel Queensland, lavorando come raccoglitori di tabacco, poi scendemmo lungo la costa e fu la volta delle albicocche e delle cipolle, infine partecipammo alla raccolta dell’uva, nel sud del paese, in una cittadina del New South Wales. Incontrammo gente molto in gamba, i “farmer”, i coltivatori nelle fattorie che erano persone che avevano lavorato sodo tutta la vita, conoscemmo degli immigrati italiani, altri dal Paraguay e dall’Uruguay, e quando videro che il lavoro non ci spaventava ci trattavano come membri della stessa famiglia. In effetti, si arrivava a lavorare fino a dodici ore al giorno. A Dimbhiula, un paesino nel nord, fummo ospitati da una famiglia italiana, tutte le mattine dopo le prime due ore di lavoro si faceva colazione tutti assieme, la famiglia e i lavoranti e non ho mai visto in vita mia una tavola così imbandita e così piena di ogni possibile ben di dio!
In campagna non c’era molta possibilità di spendere, così alla fine della stagione approdammo a Sydney con un bel gruzzolo in tasca e ci facemmo una cultura sul genere d’intrattenimenti che ci interessava. È una di quelle città dove puoi trovare in pratica di tutto, collegata col resto del mondo in tempo reale. Naturalmente giravamo negli ambienti più alternativi, sia gay che altro, e fu proprio lì che incominciai a trovare delle informazioni sul Aids che mi avrebbero poi grandemente aiutato nel trovare un tipo di cura efficace e naturale. Vi erano dei gruppi di lavoro e delle associazioni che lavoravano nella ricerca di nuove terapie e gruppi di auto aiuto per le persone malate.
Tra le notizie che mi colpirono maggiormente vi era uno studio di San Francisco che aveva scoperto che i primi 50 morti di Aids avevano tutti fatto dalle quaranta alle cinquanta cure di antibiotici nella loro vita. Fu la prima volta che venni in contatto con l’idea che delle medicine, quelle sacrosante medicine della moderna scienza medica(!) creavano più problemi di quanti ne curassero. Il fatto è che gli antibiotici abbassano fortemente il livello immunitario.
Dopo quasi cinque anni che eravamo insieme ci trovavamo di nuovo in svizzera, e vidi che
il nostro rapporto si stava indebolendo assai. Così mi feci fare un prestito da un paio di banche e partimmo nuovamente, questa volta con l’idea di fare il giro del mondo.
Dopo sette mesi di bagordi vari approdammo nuovamente in Australia, oramai con i portafogli vuoti, e tornammo a visitare i coltivatori d’uva. Fummo nuovamente alloggiati e cominciammo a lavorare, ma questa volta non ero così in forma come la prima volta. Probabilmente il viaggio questa volta mi aveva stressato assai, e le vitamine non bastavano a rimettermi in sesto. Tornai così a Sidney, dove sapevo che c’era una clinica che curava gratuitamente qualsiasi persona senza fare domande.
Lì un team di cinque professori mi visitò minuziosamente dalla testa ai piedi, e alla fine stabilì che ero affetto da una toxoplasmosi, una malattia del sistema nervoso. Unico sintomo era la perduta sensibilità a un dito del piede. Mi dissero che avevo dalle sei settimane ai sei mesi di vita! Chiesi se la sensibilità se ne sarebbe poi andata da tutto il piede e così di seguito e mi risposero che sarebbe invece successo un po’ qui e un po’ lì.
Ero arrivato in Australia con l’idea di fermarmi a vivere lì per un lungo periodo se non addirittura per il resto della mia vita ma ora l’idea di morire tutto solo in paese straniero
non mi sorrideva per niente!
Molto meglio tornare in svizzera, vicino ai miei amici.
Appena ritornato, chiesi ospitalità a mio padre, a cui raccontai tutta la storia. Mi ospitò per tre giorni soltanto e poi mi disse che il suo appartamento era troppo piccolo per due persone. Fu una fortuna perché trovai rifugio da un amico che era un attivista gay il quale mi aiutò e mi fece incontrare delle persone che cambiarono la mia vita. All’inizio andai a trovare il mio medico, il quale mi consigliò di fare una cura “preventiva” di tre mesi di Bactrim forte, un potente antibiotico. Ricordandomi delle informazioni raccolte a Sidney, capii che non ne sapeva più di me sull’Aids e lo lasciai perdere.
L’amico che mi ospitava mi fece conoscere R, una dottoressa che aveva frequentato tutte le scuole e l’università, ma che poi, dopo una serie di esperienze personali, aveva lasciato la medicina “ufficiale” per curare le persone con le medicine naturali quali l’omeopatia.
Seguii i consigli di R e dopo un mese e mezzo ero guarito dalla toxoplasmosi! A volte dubito della diagnosi dei medici australiani, ma poi rifletto che erano cinque professoroni!
Fatto sta che da allora continuai a informarmi e a cercare.
La medicina classica o allopatica cerca di distruggere il virus con vari tipi di medicine: il problema è che in sostanza tutte queste medicine distruggono il virus, o ci provano, ma nello stesso tempo vanno a colpire anche degli organi o dei tessuti sani, con il risultato di indebolire ulteriormente il corpo del paziente. Se va tutto bene!
Invece le terapie naturali tendono a rinforzare il sistema immunitario della persona, lasciando che se la cavi poi da solo con virus o batteri vari.
L’esperienza con le droghe, come vi dicevo, mi ha fornito le armi per combattere la mia battaglia con l’Aids. Una cosa che mi ha aiutato moltissimo con entrambe è stata la meditazione. Tornato in Svizzera dall’esperienza della comunità, dopo alcuni mesi ricominciai a “toccare” le sostanze stupefacenti, anche se molto saltuariamente. Non rimasi più dipendente ma volli comunque fare un periodo di due settimane in montagna con un gruppo dell’anti-psichiatria. Fu molto interessante, ma la cosa più importante per me fu che un amico sul posto mi parlò della Meditazione Trascendentale e dei suoi benefici.
Si tratta di una tecnica assai antica che viene dall’India, e che aiuta l’essere a sviluppare delle energie interiori, la calma e la pace, e nel complesso la salute in generale.
Così appena tornato a casa, m’informai e trovai che nella mia città vi era un centro del Maharishi Yoghi dove insegnavano la tecnica. Maharishi Yoghi era il tipico santone che ha radunato intorno a sé un gran numero di occidentali desiderosi di uscire dal solito tran-tran della vita occidentale. Ciò che diede altra fama al santone fu che anche persone come i Beatles si erano rivolti a lui per praticare la meditazione.
In quegli anni molti giovani, delusi dai movimenti politici e dalle droghe, partivano per l’India alla ricerca del ”guru” che li aiutasse a trovare un altro tipo di paradiso.
Molti di questi guru pretendevano un’obbedienza totale dai loro devoti, e non di rado anche il versamento d’ingenti somme di denaro.
Mi avvicinai dunque al Maharishi con cautela, e fui felice di scoprire che l’insegnante di meditazione era un vecchio amico più anziano di me e che era già passato dalle mie stesse esperienze. Si vedeva che stava bene, e per me fu già una prima garanzia dei benefici effetti della tecnica. Anche dal lato finanziario la cosa era accettabile; il corso, che si svolgeva nell’arco di tre serate, costava 300.- franchi (oggi è salito a 3.000!).
In pratica ci veniva dato un “mantra”, una parola in lingua sanscrita, da tenere assolutamente segreta, che poi andava ripetuta in silenzio per venti minuti la mattina e la sera prima di mangiare. Tra i risultati della pratica erano pubblicizzati effetti come migliori risultati nello studio, la facilità a smettere con le dipendenze come appunto le droghe o le sigarette. Ogni mantra ha una “vibrazione” specifica, un potere e un’azione sua particolare.
Andai avanti a meditare per un paio d’anni fino a quando incontrai F, e alcuni benefici sulla salute in generale li avevo avuti davvero. Basta pensare che lavoravo senza sforzo fino a dodici ore al giorno senza fatica. Dopo alcuni anni anche F fece il corso di meditazione perché aveva letto in un articolo che aiutava gli asmatici. Quando iniziò il corso adoperava quattro pompette al mese; dopo un paio d’anni di pratica quotidiana ne usava solo una.
Comunque all’inizio F era molto scettico su tutti i tipi di tecniche e misticismi vari. Io arrivavo ogni tre mesi con un grande entusiasmo per qualche nuova tecnica, e lui mi ripeteva regolarmente che era tutto in testa che succedeva! Ma dopo i risultati ottenuti con la meditazione dovette ricredersi.
Come dicevo, il rapporto con F fu molto intenso per cinque anni, poi ognuno prese la sua strada, ma il nostro rapporto diventò quasi ancora più bello perché nel frattempo eravamo diventati come fratelli. Quasi tutti i giorni uno passava a casa dell’altro per raccontarci le novità e scambiarci informazioni. Egli era molto attivo nel movimento gay e con alcuni amici fondò un gruppo con una sede in cui organizzavano incontri e feste e pubblicavano un giornale.
Questo succedeva ai tempi del mio ritorno dall’Australia. L’amico che mi aveva offerto ospitalità lavorava a quei tempi all’Aiuto Aids Ticino e, sapendo di come fossi introdotto in tutti i tipi d’ambiente, dai gay ai consumatori di droghe ai semplici fumatori di cannabis, e vista la mia conoscenza dell’argomento, mi propose di lavorare per la stessa associazione come Street-worker, in pratica come operatore sociale di strada. L’operatore di strada è un lavoro che ha ottenuto sempre di più il riconoscimento che gli spetta. In pratica tra le persone così dette “a rischio” e che hanno uno stile di vita “pericoloso” ve ne sono veramente tanti che anche in caso di bisogno non si rivolgeranno mai a una struttura statale.
I primi street worker erano molto spesso persone che come me avevano avuto delle lunghe esperienze negli ambienti di strada e tra quelli più “caldi”, e perciò già conosciuti dalle persone che necessitavano le informazioni.
Inoltre fin da sempre, nel mio vivere nella strada, avevo sviluppato la capacità di trovare delle soluzioni ai problemi che da sempre affliggono chi ha scelto di vivere ai margini della società. Così molti amici, già da prima, venivano a consultarmi quando avevano qualche problema che non arrivavano a risolvere da soli.
L’unica cosa che era cambiata era che adesso venivo anche pagato!
Poiché in questo scritto voglio illustrare che cosa ho trovato nella mia ricerca che sia in grado di aiutare le persone a vivere meglio con l’Aids, devo parlarvi di un punto fondamentale. Si tratta dell’approccio olistico alle malattie; ho trovato moltissime tecniche diverse per migliorare la qualità di vita delle persone, e ognuno dovrà trovare quella che si adatta meglio al proprio stile di vita.
La terapia olistica è piuttosto semplice: in genere quando si va da un medico tradizionale, questi studia ed esamina il problema e quindi interviene esclusivamente sul piano fisico.
La terapia olistica invece considera che l’essere umano sia composto di quattro parti principali; la mente, il vitale, il fisico e lo spirituale. Queste parti sono strettamente correlate, anche se non ce ne rendiamo conto, e interagiscono sempre tra di loro. Cercherò di fare un semplice esempio; possiamo avere un problema mentale, come delle paure o fobie, un problema vitale, come la depressione perché abbiamo perso una persona cara; o un problema fisico, magari un’epatite. Bene, in ognuno di questi casi la guarigione sarà molto più rapida e completa se usiamo un approccio olistico. Per esempio, per il problema mentale possiamo prendere qualcosa che calmi le paure, ma dovremmo anche fare dell’esercizio fisico, delle passeggiate, dei bagni di sole. E dovremmo pure coltivare le nostre amicizie, rinnovare i rapporti sociali, o magari fare del volontariato. Questo per la parte vitale. L’ideale sarebbe poi praticare la meditazione o il Tai Chj, o il Reiki o qualche altra tecnica di rilassamento e d’introspezione. Queste ci aiuterebbero a entrare in contatto con la nostra anima, che è sempre una fonte di calma, di luce, e ci nutre a un livello sottile che è sempre motivo di gioia e ci reintegra a tutti i livelli dell’essere, e aprirci all’influsso spirituale.
Una cosa che sta sempre più affermandosi in tutti gli ambienti è che il nostro stile di vita condiziona la nostra salute. Se siamo una persona che corre tutto il giorno da un attività all’altra, e se inoltre passiamo tutte le nostre serate al bar a bere con gli amici, e passiamo il nostro tempo in ambienti chiusi, il giorno che ci prendiamo un malanno potrebbe richiedere un tempo lungo per guarire. Se invece siamo una persona che agisce con calma, che cura l’alimentazione naturale, che si prende il tempo per delle passeggiate nei boschi, che va anche solo semplicemente a nuotare con un buon amico, di sicuro il malanno verrà superato molto più facilmente. Se poi pratichiamo la meditazione o qualche altra tecnica come il Reiki, per esempio, è possibile che nella nostra introspezione riusciamo a intravedere lo squilibrio che sta arrivando e quindi a prendere delle misure che renderanno inutile l’ammalarsi.
Poiché molto spesso le malattie sono la conseguenza di una tensione con l’ambiente circostante di cui non ci siamo resi conto per troppo tempo.
In effetti, l’essere umano è un mistero affascinante. Essere diventato sieropositivo mi ha obbligato a prendere coscienza di tutti questi movimenti interiori ed esteriori, e a cambiare molte cose nella mia vita, se volevo continuare a vivere.
Di sicuro senza il test non avrei continuato a lungo; passavo tutte le serate a bere come una spugna, a fumare abbondantemente un po’ di tutto, e spesso la ricerca di compagnia era finalizzata esclusivamente all’attività sessuale. Sri Aurobindo mi aveva sicuramente illuminato su certi aspetti della vita, ma lo apprezzavo anche perché non mi dava delle direttive sul mio stile di vita come fanno invece altri movimenti spirituali. La spiritualità consiste più nell’amare il mondo e le sue creature che non nell’essere vegetariano o meditare tot ore al giorno!
Dunque il mio programma di terapia olistica era a buon punto verso il 1995. Meditazione, cibo biologico, e molti amici; fin dai primi tempi in cui mi sono trovato a vivere per strada, ho considerato i miei amici come la mia famiglia. Seguendo la più pura filosofia hippie mettevamo tutto in comune e condividevamo le nostre “ricchezze”; la ricchezza più grande era l’amore che ci univa, un’amicizia che ci permetteva di sopportare le difficoltà a volte estreme della vita di strada. Anche dormire in una casa abbandonata in pieno inverno è sopportabile quando sei con dei buoni amici!
Certamente questa considerazione per gli amici ha condizionato gran parte della mia ricerca; infatti, quando trovavo qualche cosa che poteva aiutarci, controllavo sempre che fosse abbordabile da tutti, sia a livello economico che di comprensione. Per esempio, ci sono sempre stati degli amici che avevano dei problemi a livello mentale, e sapevo benissimo che i movimenti come gli “Hare Krishna” avrebbero potuto aiutarli. Ma sapevo anche che i miei amici erano troppo anarchici per conformarsi ad un gruppo pieno di regole d’ogni tipo. Stesso discorso per tutti vari “guru” che giravano a quei tempi.
Mi dicevo che anche loro avevano il diritto di ricevere la luce e un aiuto spirituale essenziale, nonostante il loro modo d’essere. E tenevo gli occhi aperti, sempre cercando ciò che avrebbe aiutato tutti.
Ho pensato spesso che ciò che mi manteneva vivo e sufficientemente in salute non erano tanto le varie tecniche e le vitamine o altre sostanze energetiche come la pappa reale delle api, il ginseng, e le varie sostanze naturali, quanto piuttosto il fatto di cercare. La ricerca in sé è importante perché dà una certa vibrazione a tutto l’essere, un’apertura verso il mondo, che ci aiuta a essere malleabili ed elastici. Perlomeno questa è la mia impressione.
Voglio raccontarvi ora dell’incontro con una persona che ha rivoluzionato la mia vita più di quanto abbiano mai fatto tutti gli incontri precedenti.
Credo che fossimo circa nel 1996. Avevo incontrato un terapeuta, T, che praticava l’auricoloterapia. In sostanza, sfruttando i principi dell’agopuntura, agiva sull’essere applicando dei piccoli aghi nelle orecchie, in corrispondenza di certi punti collegati con i vari organi. Gli avevo già parlato di Sri Aurobindo e della mia fascinazione per il suo yoga.
Un giorno mi fece vedere la foto di una donna indiana che teneva su un tavolino dello studio. Mi disse che si chiamava Madre Meera e che era la reincarnazione di Douce Mère, la compagna di Sri Aurobindo. Non so come lo sapessi ma ero sicuro che non era vero, così lasciai perdere da subito la questione e non me ne interessai più. Il mondo è pieno di persone che si definiscono, “illuminate” o la reincarnazione di qualche grande yoghi.
Però dopo alcuni mesi T mi telefona, un po’ agitato, e mi racconta che era appena stato a trovare Madre Meera. Subito mi spiegò che non si trattava della reincarnazione di Douce Mère, ma di qualcuno che continuava lo yoga di Sri Aurobindo. Ciò mi colpì profondamente. Infatti, nel 1972 Mère aveva lasciato il corpo, e da allora non c’era più nessuno che si occupasse del suo yoga.
Non sentivo nessuna particolare attrazione o interesse per Madre Meera, ma mi dissi che dovevo andare a trovarla per vedere se vi trovavo qualcosa di vero a proposito dell’affermazione di T. Egli mi disse anche che gli indiani la considerano un avatar della Madre Divina, cioè un incarnazione diretta, come la Madonna, e che si diceva che era in grado di aiutare chiunque, che seguisse o meno una via spirituale.
Ne andai subito a parlare a F, e siccome avevo ricevuto qualche soldo in più, gli proposi di offrirgli il viaggio e di andare a trovarla. Rimasi invero stupito perché accettò subito. A quei tempi F frequentava le ultime due classi del liceo perché voleva poi andare all’università per diventare avvocato, in quanto non ci sono mai avvocati disposti ad aiutare la gente come noi. Però aveva seri problemi con la matematica, e ricordo che mi disse che sarebbe venuto per vedere se Madre Meera poteva aiutarlo con quella materia!
Madre Meera (si pronuncia Mira) abita in un piccolo paesino della Germania, vicino a Limburg, a metà strada tra Colonia e Francoforte, e già questo la distingue da tutti i vari tipi di spiritualisti che avevo conosciuto fino a quel momento, e che vivevano rigorosamente in India. Inoltre Madre Meera non è portata per niente per i vari segni esteriori che ci siamo abituati ad associare con i movimenti o i capi spirituali; a casa sua niente incensi o musiche mistiche, le persone, anche quelle poche che vivono con lei, sono vestite normalmente all’europea, a parte alcuni irriducibili vestiti sempre rigorosamente di bianco!
Così organizzammo il viaggio, prenotammo per tre giorni una stanza in un alberghetto del paesino e alla fine salimmo sul treno.
Non so bene cosa mi aspettassi, e per una volta tanto ero praticamente più scettico del mio amico! Madre Meera non è particolarmente impressionante dal punto di vista fisico: alta forse un metro e sessanta ma di una bellezza incredibile e indescrivibile. Portava un bel sari indiano e andò subito a sedersi su una poltrona in fondo alla sala. C’erano forse duecento persone in una sala non particolarmente grande, gli ultimi arrivati prendevano posto in una sala adiacente dove parecchie foto di lei erano appese ai muri.
Madre Meera non parla durante questi incontri: il suo lavoro si svolge nel silenzio. A uno a uno si va fin davanti alla poltrona ci s’inginocchia davanti a lei in modo che possa posare le sue dita ai lati della nostra testa; dopo pochi secondi stacca le dita e allora solleviamo la testa per guardarla direttamente negli occhi. Per ognuno questa esperienza è diversa.
Io ero ancora molto scettico e ricordo che quando la guardai negli occhi pensai: “Embè, chi sei? Fammi vedere!” Infatti è risaputo che gli avatar sono in grado di sentire cosa ci passa per la testa! Ma in quel momento non successe niente di particolare, non ci fu una risposta. Di quella serata ricordo che fino a quando me ne restai seduto feci una bellissima meditazione e sperimentai una gran calma piacevolissima. Ma dopo il Darshan, così si chiama l’incontro con un avatar o un vero guru, significa “visione”, ero agitatissimo e ricordo che presi la decisione, per la sera e il Darshan successivi, di andare da lei solo alla fine della serata, per godermi più a lungo quella pace che avevo appena sperimentato.
Bisogna sapere che quando si entra in contatto con la sfera spirituale autentica è cosa piuttosto comune avere delle esperienze che non compaiono nella vita “normale” delle persone. Vi farò un esempio con la prima di queste esperienze che ho avuto dopo pochi anni che leggevo Sri Aurobindo. Era il periodo in cui passavo molto tempo per strada, seduto fuori dal bar con gli amici o da solo. Potevo passare delle ore a guardare la gente che passava, ed era diventata come una meditazione guardare tutti i tipi diversi, i modi di vestirsi, di muoversi, o come reagivano quando ci vedevano seduti per terra con i nostri capelli lunghi e i vestiti alla hippy. Un giorno, ricordo che ero appoggiato a un muro e stavo per l’appunto osservando le persone passare, quando ho sentito una voce che mi parlava; disse solo: “Sono tutti la stessa Persona.” Adesso, dopo anni da quell’esperienza, so che devo usare la maiuscola per la parola Persona, e cambia tutto il senso della frase.
Quella frase mi ha accompagnato nelle mia vita, spesso ricordandomi che le cose non sono quasi mai come sembrano, e invitandomi ad avere una visione più profonda del mondo e della sua gente. È comunque una formidabile base di meditazione, una meditazione che si può fare ovunque, ma specialmente in una piazza o su un autobus all’ora di punta!
Ma torniamo da Madre Meera. Il giorno dopo quel primo incontro, feci con F una passeggiata nei boschi e, uscendo dall’albergo, incontrammo P, una tipa italiana che ci accompagnò nel nostro vagabondare. Ci raccontò che aveva vissuto per sei mesi in India nell’ashram di Babaji, un grande yoghi anch’egli considerato come un avatar, un incarnazione diretta del Divino, e le era stata insegnata direttamente da lui l’arte dell’healing, cioè la capacità di dare la guarigione alle persone semplicemente parlandoci assieme. Babaji è stato il primo di questi esseri eccezionali di cui abbia sentito parlare nella mia vita. Ricordo ancora quando P, un mio grande amico e fratello spirituale, mi parlò di lui dicendomi che era un grande yoghi che viveva in una grotta sull’Himalaia, e che bastava ripetere qualche volta il suo nome per ricevere l’aiuto.
Con P non ci furono grandi discussioni filosofiche, però alla sera il mio atteggiamento verso la Madre era diverso dalla sera precedente. Incominciai a sedermi e aspettare la fine della serata per recarmi al darshan, in modo da godermi la meditazione per le due ore che durava l’incontro. Ma poco tempo dopo che avevo preso posto, quando la gente aveva già cominciato ad andare dalla Madre, successe qualcosa che mi fece cambiare il ”programma”. Infatti ricordo precisamente che udii una Voce che mi disse: “Che cosa stai aspettando?”
Così mi alzai immediatamente e presi posto nella fila per andare dalla Madre. Come ho detto il mio atteggiamento era cambiato dalla sera precedente e quando mi inginocchiai davanti a lei le dissi interiormente: “Ti apro il cuore e la mente”. E fu lì che ricevetti il “flash” più forte della mia vita. Di colpo, in una frazione di secondo, la sala con tutta la gente era sparita e mi trovavo in mezzo all’universo, nello spazio, e di fronte a me c’erano quattro pianeti in fila uno vicino all’altro.
Fu una tale sorpresa che feci quasi un balzo all’indietro. Ma intanto il mio turno era finito e me ne tornai al mio posto.
Da allora ho ripensato molto spesso a quella visione regalatami da Madre Meera, e ogni volta cerco un significato simbolico di qualche tipo, a volte mi sembra di averlo trovato. Ma molto probabilmente non c’è niente di particolare da capire se non l’esperienza eccezionale in sé. Di sicuro la Voce era la stessa che ho sentito quella prima volta per strada.
Sono sicuro che Sri Aurobindo continua a seguirmi nella mia vita e a guidarmi perché resti sulla strada giusta, come un grande padre amorevole che continua a seguire tutti i suoi innumerevoli figlioli spirituali.
Non vi ho più parlato di Sri Aurobindo, ma egli è sempre rimasto molto presente nella mia vita. Durante le lunghe discussioni filosofiche con gli amici era inevitabile che lo citassi ed esponessi il suo punto di vista su tutti i vari di problemi che affliggono gli esseri umani e la società. In fatti tutti i miei amici sanno chi è. Egli, mettendo in pratica ciò che ha imparato praticando il suo yoga, lo yoga integrale, è riuscito a dar vita ad Auroville, una cittadina nata dal niente vicino a Pondicherry, nel Sud dell’India, dove lo scopo principale della vita è vivere e sperimentare una nuova coscienza, una coscienza che permetterà all’essere umano di vivere nell’Unità e nell’Armonia divini. Poiché quest’armonia e unità divine sono già dentro di noi e aspettano di essere trovati e sviluppati.
La Luce, ci dice Madre Meera, è già dentro di noi come un seme, e deve fiorire in tutti noi come un fiore.
L’incontro con Madre Meera.
Non dimenticare mai che non sei sola. Il Divino è con te, per aiutarti e guidarti.
È il Compagno che non ti manca mai, l’Amico che con il Suo Amore ti consola
e ti dà forza: abbi fiducia in Lui e Lui farà tutto per te.
Sweet Mother (compagna di Sri Aurobindo)
Una volta avevo una famiglia: mamma, padre e fratello. Li amavo perché erano la
mia famiglia.
Poi mi sono trovato per strada, e ho scoperto una famiglia molto più grande, senza
madre né padre, dove in tanti ci si scopriva un po’ fratelli e sorelle. Gesù era uno di
noi, capelli lunghi e dividersi tutto; vivevamo l’amore che ci univa senza conoscerlo.
L’abbiamo saputo solo quando la maggior parte di noi ha lasciato questo mondo
per altre luci.
Altri fratelli altrettanto giovani nel cuore hanno preso il loro posto e l’amore è lo
stesso. La famiglia però è cambiata. Adesso abbiamo con noi la Madre Onnipotente
che veglia sui Suoi figlioli. Lei è oceano senza fine, distesa infinita, e c’insegna a
conoscere questo misterioso Amore che da sempre ci nutre di nascosto.
a vita.